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COVID-19

Milano, infermiera no vax indagata per assalto a gazebo M5S

di Redazione Roma

Spuntano i primi indagati dopo l’assalto ad un gazebo del Movimento 5 Stelle, il 28 agosto scorso. Tra i quattro no vax, di cui la Digos ha perquisito le abitazioni, c’è anche un’infermiera con precedenti per maltrattamenti in famiglia. Intanto la Lombardia registra il “pentimento” dei sanitari no vax negli ospedali: uno su due si vaccina e rientra in reparto.

Assalto no vax al gazebo M5S a Milano, nei guai anche un'infermiera

Il gazebo M5S preso d'assalto dai no vax lo scorso 28 agosto. Tra gli indagati c'è anche un'infermiera

C’è anche un’infermiera di 34 anni con precedenti per maltrattamenti in famiglia tra i primi indagati in seguito all’assalto a Milano, lo scorso 28 agosto, ad un gazebo elettorale del senatore del Movimento 5 Stelle, Daniele Pesco.

Nei loro confronti la Questura ha emesso un avviso orale, una misura di prevenzione. Si tratta di quattro persone (tra le quali, appunto, la professionista sanitaria) e per loro sono scattati altrettanti decreti di perquisizione – a firma del pubblico ministero Paola Pirotta e del procuratore aggiunto Alberto Nobili del Dipartimento Antiterrorismo – poiché ritenuti gli organizzatori dell’assalto.

Una giornata violenta che difficilmente verrà dimenticata da chi l’ha vissuta, considerato che quello alla Darsena – nei pressi di Porta Ticinese – è ritenuto il più aderito e pericoloso corteo di no vax e di no green pass finora registrato nel capoluogo lombardo. Al grido di traditori, facendosi largo con spintoni, si è giunti allo smantellamento fisico dell’intera struttura presso cui si faceva campagna elettorale in favore della candidata sindaco, Layla Pavone.

Un’azione preordinata, secondo gli investigatori, che ha indotto la Procura milanese a recuperare l’articolo 294 del Codice penale (“Attentati contro i diritti politici del cittadino”) che punisce l’attentato contro i diritti politici del cittadino, perseguito congiuntamente ai reati di danneggiamento aggravato e manifestazione non autorizzata.

A seguito delle perquisizioni domiciliari non sono state rivenute armi in nessuna delle abitazioni dei quattro perquisiti (né gli investigatori della Digos sospettavano di trovarne), accomunati dal non avere avuto alcuna militanza politica. Piuttosto, c’erano smartphone, computer, tablet e pendrive: materiale informatico all’interno del quale i poliziotti, guidati dal dirigente Guido d’Onofrio, contano di trovare ed esaminare chat e incidenti alla devastazione. Occorre rimarcare che all’interno del provvedimento con il quale la Procura ha disposto le perquisizioni si fa riferimento a una violenta aggressione.

Nel frattempo in Lombardia (dove tra i sanitari no vax gli infermieri sono i più numerosi) proseguono i controlli – da parte dei carabinieri del Nas – per verificare che tutti gli operatori sanitari al lavoro abbiano rispettato l’obbligo di vaccinazione anti-Covid. Dopo gli ospedali milanesi gli accertamenti proseguiranno nelle prossime settimane anche nelle province di Como, Varese, Monza e Brianza. Tutto regolare, fino a questo momento: le direzioni stanno sospendendo i sanitari che hanno rifiutato il vaccino anti Covid-19 evitando di immunizzarsi senza un valido motivo e che, per questa ragione, hanno ricevuto le notifiche dalle Ats.

Ma c’è una discrepanza notevole tra il numero di missive inviate e i lavoratori effettivamente lasciati a casa: circa la metà dei sanitari no vax, posta alle strette, si convince e si fa vaccinare. Un esempio particolarmente esplicito interessa l’ospedale Niguarda di Milano: su circa 5mila dipendenti, a 29 fino a questo momento è giunta la comunicazione di Ats Milano. Dopo il semaforo rosso, una parte di loro ha chiesto e ricevuto l’iniezione e pertanto è stata riammessa in reparto. Così i sanitari no vax – in particolar modo di tecnici – sono scesi a 19.

Giornalista

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