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aggressioni in ospedale

Covid-19 non ha cancellato le violenze contro i sanitari

di Redazione

In questi giorni in cui si celebra quotidianamente sui mass media l’eroismo dei medici e degli infermieri impegnati nella battaglia al Covid-19, sembra ormai un lontanissimo ricordo il bollettino di guerra raccontato dai giornali, denunciato dai sindacati, stigmatizzato dagli ordini professionali, attenzionato dai politici e soprattutto “vissuto” praticamente da molti (se non tutti) i professionisti della salute riguardante il problema drammatico e diffusissimo (in Italia, ma anche nel resto del mondo) degli episodi di violenza verso gli operatori sanitari.

Violenza verso i sanitari, OMS punta ancora i riflettori sul fenomeno

Oggi pare quasi impossibile immaginare che infermieri e medici - a cui nell’immaginario collettivo planetario si inchinano i supereroi dei fumetti e del cinema, che ricevono encomi delle massime cariche istituzionali del mondo, nonché il plauso dei cittadini dai balconi delle metropoli di ogni continente - possano essere minacciati, aggrediti verbalmente, assaliti fisicamente, feriti, finanche uccisi mentre prestano il loro servizio, mentre assistono e curano sul loro posto di lavoro pazienti e familiari.

Il “fronte”, la “prima linea”, il “campo di battaglia”, così come sono in questi giorni descritti gli ospedali, i Pronto soccorso, le ambulanze, le rianimazioni, le case di risposo, le residenze sanitarie, le guardie mediche o gli ambulatori dei medici di famiglia sono scenari oggi della pratica eroica, raccontati ieri nelle prime pagine dei giornali o nei titoli di apertura dei telegiornali come “scene del crimine” e “luoghi della violenza e della furia devastante” (vedi gli ultimi fatti di Napoli).

Un problema, quello della violenza verso i sanitari, diffuso in tutto il mondo e per questo descritto da molti studiosi del fenomeno come epidemico, un problema che sembra oggi essere stato spiazzato e forse cancellato da un’altra epidemia, questa sì causata da un vero (e purtroppo terribile) virus: il SARS-CoV-2.

Eppure, pochi giorni fa, il 28 aprile, l’Organizzazione Mondiale della Sanità in occasione della Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, ha invitato tutti i governi, le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati, nonché la comunità globale tutta ad adottare misure urgenti per rafforzare le capacità delle Nazioni di proteggere la salute sul lavoro e la sicurezza degli operatori sanitari.

Tra i vari punti trattati torna ancora ai primi posti l’attenzione verso il problema della violenza verso gli operatori sanitari. Tra i messaggi chiave e le azioni da intraprendere questa problematica viene espressamente richiamata e stigmatizzata. L’OMS sottolinea, infatti, che gli operatori sanitari sono ad alto rischio di violenza in tutto il mondo. Di questi dall'8% al 38% nel corso della propria carriera subiranno violenze fisiche. Molti altri, continua la nota dell’organizzazione con sede a Ginevra, sono minacciati o esposti all'aggressione verbale e allo stigma sociale a causa del loro lavoro.

Nella crisi COVID-19, la carenza di personale e risorse e le crescenti tensioni sociali sembra che possano provocare un aumento del livello di violenza contro gli operatori sanitari e persino attacchi contro le strutture sanitarie. L’OMS denuncia che medici, infermieri, personale di sicurezza e tutti coloro impegnati nei test, nel rintracciamento dei contatti o nell’adozione delle misure di allontanamento fisico per fermare il COVID-19 subiscono minacce e aggressioni.

Per questo sollecita e invita tutti i governi, i datori di lavoro e le organizzazioni dei lavoratori a adottare ferme misure di tolleranza zero nei confronti della violenza contro gli operatori sanitari sul posto di lavoro e ad intensificare le azioni di sostegno sociale e rispetto verso gli operatori sanitari e le loro famiglie. L’Italia è pronta ad accogliere queste sollecitazioni? Il disegno di legge n.867 recentemente commentato da Nicola Ramacciati nell’ultimo numero di Scenario, la rivista scientifica edita da Aniarti, l’Associazione Nazionale degli Infermieri di Area Critica, intitolato “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, ormai prossimo alla approvazione delle camere e alla discussione in Parlamento nell’ultima settimana di febbraio, è attualmente congelato sine die, in attesa della ripresa dei lavori parlamentari.

Aggressioni ai sanitari, Ramacciati: non bisogna abbassare la guardia

Abbiamo contattato il Dott. Ramacciati, infermiere di emergenza, oggi Responsabile delle Attività Didattiche e Professionalizzanti del Corso di Laurea in Infermieristica della Sede di Perugia dell’ateneo umbro, già più volte ospite di Nurse24 per i suoi studi nel campo della violenza verso gli infermieri, in particolare di Pronto soccorso, per chiedergli il suo punto di vista al riguardo.

Cosa pensa delle indicazioni dell’OMS dello scorso 28 aprile?

Come ho scritto nel Commentario al Disegno di Legge n. 867 da poco pubblicato su Scenario, l’attuale situazione emergenziale legata alla diffusione del nuovo Coronavirus, oltre a sconvolgere la nostra vita sociale, ha anche fatto passare - al momento – in secondo piano il fatto di essere “in presenza – come espressamente dichiarato nella relazione dei lavori nelle commissioni riunite Giustizia (II) e Affari Sociali (XII) – di una grande questione sociale [dove] si è rotto una sorta di patto tra operatori sanitari e pazienti”.

Nel mio commentario auspico che il ri-consolidamento di questo patto, oggi rinnovato a parole, dirie di più, “urlato” dai balconi e suggellato da flashmob, murales e striscioni in tutta Italia (e nel mondo), possa rinsaldare quella alleanza tra cittadini e operatori sanitari, tanto da rendere quasi inutile una legge destinata ad inasprire le pene verso gli aggressori, a novellare le aggravanti previste dal codice penale e finalizzata a definire ancor di più il profilo e la rilevanza penale delle condotte violente verso noi infermieri e sanitari.

L’OMS, però, ci richiama alla realtà, a non abbassare oggi più che mai la guardia su questo problema, invitando governi, rappresentanti dei lavoratori, dirigenti, manager, politici tutti a presidiare il fenomeno e mettere in campo ogni possibile azione per gestire la violenza e per sostenere i sanitari che anche su questo fronte sono ancora una volta i primi ad essere vulnerabili.

Cosa possono fare gli infermieri in quest’altra sfida, nella lotta contro la violenza?

Noi infermieri possiamo fare moltissimo in questa che, non a caso nel documento di accompagnamento alla proposta di Legge, viene descritta come una vera e propria “emergenza sociale”. Innanzitutto, non assuefacendosi alla violenza: questa non deve mai più essere considerata “parte del proprio lavoro” (part of the job, come viene descritto nella letteratura internazionale questo sentire comune a molti infermieri).

Bisogna utilizzare tutti i mezzi a disposizione per segnalare gli episodi di violenza, oggi ormai presenti e proceduralizzati in molte aziende sanitarie e ospedaliere. E anche in quelle in cui manca un apposito sistema di segnalazione e monitoraggio degli eventi aggressivi, ricordo che esiste la possibilità di ricorrere alla segnalazione dell’evento sentinella n.12 “Atti di violenza a danno di operatori sanitari” segnatamente previsto e raccolto dal Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES) istituito presso il Ministero della Salute.

Anche la dirigenza infermieristica (ai vari livelli di responsabilità) gioca un ruolo fondamentale su questo fronte. I nostri quadri e direttori devono farsi promotori di “vere” politiche aziendali di “tolleranza zero” verso la violenza e non “lasciare soli” gli operatori vittime di tali episodi come, invece, spesso accade (e questo ce lo dice la letteratura scientifica internazionale).

Anche gli infermieri che occupano posizioni di rilievo quali “decision-maker” in seno agli ordini professionali, ai sindacati, alle associazioni professionali, ma anche nei partiti politici, nelle associazioni dei consumatori, tutti possono e devono mettere concretamente in campo azioni forti per arginare il fenomeno. Solo in questo modo, con interventi a 360° gradi è possibile contrastare efficacemente la violenza verso i lavoratori della sanità.

La ricerca infermieristica che ruolo può svolgere?

Da infermieri sappiamo che le nostre azioni, i nostri interventi, per essere efficaci devono basarsi sulle evidenze scientifiche, o meglio, sulle prove di efficacia.

La ricerca scientifica sulla violenza sul lavoro, in inglese Workplace Violence (WPV), cerca di fare proprio questo: oltre che studiare il fenomeno per misurarne la magnitudine e la diffusione, conoscerne le determinanti, valutarne gli effetti e le conseguenze, la ricerca – dicevo – serve proprio a progettare e sviluppare interventi di contrasto, azioni di contenimento, approcci operativi con il rigore del metodo scientifico.

A livello internazionale sono numerosi gli studi pubblicati su questo argomento, ma in Italia?

Posso affermare senza tema di smentita che, rispetto al problema della violenza in sanità, la ricerca infermieristica italiana è vivace e prolifica. In una recente revisione della letteratura internazionale che ho condotto insieme alla collega Laura Rasero, professore associato presso l’Università degli Studi di Firenze, pubblicata nell’ultimo numero di Professioni Infermieristiche, (rivista scientifica italiana indicizzata su PubMed, Scopus e CINAHL n.d.r.) ho evidenziato come anche in Italia il contributo dei ricercatori infermieri sulla conoscenza del fenomeno e lo studio della WPV è crescente sia in termini di produzione scientifica, che di diffusione nella comunità scientifica e professionale italiana e internazionale.

Soprattutto negli ultimi anni, a partire in particolare dall’avvio delle scuole di dottorato di ricerca in scienze infermieristiche, la ricerca italiana si sta collocando ai primi posti della letteratura scientifica internazionale sul tema.

In questo articolo di revisione, lei ha analizzato una cinquantina di lavori scientifici di infermieri italiani, indicizzati nei principali database biomedici a partire dai primi articoli sul tema dal 2003 ai nostri giorni. Si è focalizzato sul numero di citazioni per articolo, impact factor delle riviste, lingua utilizzata

La blocco subito: ho analizzato questi indicatori per avere un risconto oggettivo della forza della nostra ricerca scientifica nel panorama nazionale e internazionale, ma l’obiettivo di un vero ricercatore non è certo quello di scalare le vette dei valori bibliometrici o di inseguire alti indicatori di impatto, bensì – come ho concluso proprio nell’articolo da lei citato – di “diffondere e condividere i risultati della ricerca infermieristica italiana su questa problematica con tutta la comunità scientifica e professionale per fornire un utile e forte contributo al contrasto alla violenza in sanità”, e questo perché ancora oggi molti colleghi, considerano il problema come poco studiato e senza possibili soluzioni.

In realtà, anche se ad oggi non abbiamo forti livelli di evidenza per sostenere determinate scelte operative,esistono interessanti e promettenti progetti e filoni di ricerca-azione o di ricerca applicata che possono contribuire concretamente a frenare il fenomeno. A patto, però, che i decision-maker ne tengano conto.

Nurse24.it continuerà a puntare i riflettori su questo fenomeno

Ne sono certo. Per questo sono sempre pronto a rispondere ai vostri inviti e non posso non ringraziarvi per lo spazio che in questi anni avete dato con i vostri servizi e approfondimenti a questo grave problema, vissuto purtroppo in prima persona da tantissimi nostri colleghi.

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Commenti (1)

Mari11

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1 commenti

Articolo interessante

#1

Articolo interessante, fra l'altro conosco la Professoressa Laura Rasero è stata mia docente: grande Professionista!