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La mia Africa, dove c'è sempre qualcosa di nuovo

di Mimma Sternativo

Partire per l'Africa è sempre stato il mio sogno, ma l'avevo riposto in un cassetto sopraffatto dalle mille storie di vita quotidiana. Non ci pensavo più, ma era ancora lì. Ho conosciuto l'associazione Asp Italy ad una grigliata estiva e tra un brindisi e l'altro con gli occhi sognanti ho detto alla prossima missione ci sarò. E così il 10 gennaio 2019 ha avuto inizio il mio primo viaggio umanitario in Senegal. Com'è andata, mi chiedono. Difficile, bello, emozionante, pieno di contraddizioni. L'Africa mi mancava ancor prima di lasciarla e non vedo l'ora di tornarci.

Missione Africa: difficile, bella e piena di contraddizioni

Perché ci vai? è la domanda più difficile a cui abbia dovuto rispondere, soprattutto nel periodo in cui ai Tg passavano continue notizie di rapimenti in Africa.

Curiosità, richiamo alle origini, voglia di conoscere lo straniero, aiutare chi è in difficoltà. Contribuire alla riduzione delle diseguaglianze o assicurare il diritto alla salute anche agli ultimi.

In realtà non creda esista un unico motivo per partire per una missione e ognuno sceglie il proprio.

Spesso non si parte solo per l'altro, ma è più facile da dirsi

Nove persone: un medico anestesista, quattro infermiere, due tecnici del 118 e un geometra. Dieci giorni. Viaggio umanitario da Ovest a Est, da Dakar a Matam, 600km di strada, dieci villaggi da visitare, diversi popoli da conoscere. Ad accoglierci in Senegal e ad assisterci per tutto il viaggio due membri del consolato senegalese in Italia.

È il periodo della stagione secca, le temperature di giorno sono piuttosto elevate ma soggette a notevoli escursioni termiche a sera.

In valigia qualche indumento, farmaci, una torcia, una zanzariera da viaggio, un sacco a pelo, una lozione insetto repellente, una macchina fotografica e un diario da viaggio su cui annotare quelli che resteranno ricordi indelebili di questa esperienza.

Dakar, capitale del Senegal. Primo centro di sanità

Ci accoglie il primario del centro, un uomo alto vestito all'occidentale, cordiale ma molto formale. Ci dividiamo.

Io e un'altra infermiera ci occupiamo del corso di primo soccorso. Altre due iniziano le consultazioni con rilevazioni di parametri e l'anestesista assieme all'interprete esegue ecografie a donne gravide o a chiunque lamenti un dolore toracico o addominale.

Vengo attratta da due immagini: un poster pubblicitario che invita a vaccinarsi e a vaccinare i propri figli e ripenso al periodo attuale che stiamo vivendo in Italia. L'altra è l'immagine dipinta su una parete che ritrae la figura di un'infermiera che da dietro sostiene un paziente. Non lo tocca, ma è pronta a soccorrerlo nel caso abbia bisogno.

L'indomani partiamo per l'Africa "vera", direzione Matam

Chilometri di viaggio e distese di sabbia. Una strada asfaltata nel nulla, piena di buche. Nel nostro furgoncino fa caldo, si dorme e si canta. Splendidi baobab, ancora più incantevoli alla luce del tramonto. Dromedari, capre, zebù e cavalli.

Il respiro del panorama era immenso. Ogni cosa dava un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema… Lassù si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava la mattina, sugli altipiani, e si pensava: Eccomi qui, è questo il mio posto (Karen Blixen)

Ogni giorno visitiamo villaggi diversi offrendo assistenza gratuita, ma anche farmaci, vestiti e giocattoli. La gente del posto ricambia con grandi sorrisi e abbracci; tutti, dal più piccolo al più grande, amano farsi fotografare e soprattutto fare selfie accanto ad un bianco.

Qualche marabout del villaggio ci ospita nella propria casa per mangiare o dormire. Un materasso a terra, una doccia fredda e un grande piatto in cui mangiare tutti insieme.

Ogni sera a cena si fa un debriefing per riassumere e discutere i casi della giornata. Molte le donne gravide, spesso di giovane età. Tra gli anziani molti sono ipertesi, ma non in terapia; da qui il dilemma etico di somministrare o meno dei farmaci potendo garantire al massimo un mese di cura.

Frequenti le infezioni delle vie urinarie nelle donne, infezioni delle alte vie aeree e sindrome da carenza di ferro nei bambini. Tutti chiedono farmaci, certe volte elemosinando almeno un integratore.

Qualcuno dichiara dolori inesistenti pur di avere almeno un antidolorifico a casa. Fa sorridere, ma in realtà noi non siamo così diversi se pensiamo ad esempio ai continui accessi ingiustificati in Pronto soccorso.

Nei vari centri di sanità non ci sono solo infermieri; qualcuno ci racconta che essendoci una grave carenza di personale, ognuno fa quel che può e così capita che sia un non sanitario a somministrare vaccini o a soccorrere in caso di incidente o malore.

Un membro della croce rossa del posto ci racconta che a bordo delle ambulanze c'è solo l'autista, pertanto funge più da taxi che non da soccorso vero e proprio. In alcuni casi i presidi ci sono, perché donati da qualche associazione, ma spesso non sanno come utilizzarli.

Nel corso di primo soccorso scegliamo di non insegnare il massaggio cardiaco, perché poi non avrebbero mezzi per garantire la sopravvivenza del paziente. Parliamo di come immobilizzare il rachide cervicale, le fratture, di come proteggere la colonna e come disostruire le vie aeree nell'adulto e nel bambino. Nelle consultazioni rileviamo i parametri e facciamo tanta educazione sanitaria, più di quella che abbia mai fatto in Italia.

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