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Editoriale

Elezioni e salute pubblica

di Giordano Cotichelli

Le elezioni regionali in Lazio e Lombardia sono di quelle destinate a passare alla storia. Non tanto per il risultato, sostanzialmente scontato, ma per l’alta percentuale di astensionismo che le ha caratterizzate e che rappresenta tutt’altro che una legittimazione verso il nuovo esecutivo. Inoltre, le due regioni interessate sono fra quelle dove la presenza della sanità privata è decisamente importante.

Il riflesso dell'astensionismo sulla salute pubblica

Queste elezioni elettorali hanno mostrato una rottura insanabile fra il mantenimento del consenso dall’alto e la costruzione di una società democratica e partecipata. Dal basso.

Nel 2021 dalla Lombardia sono arrivati nelle casse di operatori privati circa 6,4 miliardi su oltre 22 miliardi di spesa pubblica sanitaria, registrando un aumento dell'11% circa rispetto al 2012, mentre il Lazio, con meno abitanti, ha registrato un incremento del 20%.

Se questo aumento sia corrisposto ad un miglioramento e ad una maggiore efficienza della riposta sanitaria a stabilirlo sono quegli indicatori che vanno sotto il nome di LEA, i quali evidenziano, così come riportato in un articolo di Monica Montella e Franco Mostacci sul Fatto Quotidiano del 1° febbraio, come una più alta quota di impegno verso i privati non sia stata determinante all’efficientamento del sistema.

In Lombardia l’appuntamento elettorale rappresentava poi un test post-pandemia dopo la gestione (pessima a livello territoriale) e le polemiche, ma soprattutto dopo l’alto numero di morti e contagiati nelle drammatiche settimane della primavera del 2020.

In Lazio, la scelta dell’esecutivo di centro-destra, che si trasforma in destra-destra, sembrerebbe una risposta eloquente che si fa forte anche della bocciatura di un decennio di giunte di centro-sinistra; il tutto non segue però l’onda trainante della forza mediatica del governo nazionale.

In termini numerici molto semplici, in Lombardia la coalizione di centro-destra perde quasi mezzo milione di voti e nel Lazio il partito di governo vede dimezzato il consenso rispetto al settembre scorso. Ma è la massiccia diserzione dalle urne che ha attirato l’attenzione ad ogni livello.

A tale proposito, prendiamo un po’ di numeri, tanto per cominciare

La Lombardia ha 9.943.004 abitanti di cui 8.349.264 aventi diritto al voto, mentre il Lazio ne registra 5.714.882, con 4.815.838 aventi diritto (fonte: La Voce.info). Si sono recati alle urne rispettivamente 41,68% e 37,2% (fonte: Ministero dell’Interno), con un aumento dell’astensionismo, rispetto al 2018, di circa un 30% del corpo elettorale.

Alla fine hanno espresso la loro scelta politica poco meno di 3,5 milioni di persone in Lombardia e poco meno di 1,8 milioni in Lazio. Certamente tutto questo non toglie il successo elettorale di chi ha vinto, ma pone seri dubbi sulla reale rappresentatività della volontà popolare dei governatori neo-eletti. Gli stessi che verranno chiamati a partecipare all’autonomia differenziata che presto darà loro maggior potere.

Qualcuno potrebbe obiettare: Chi si è astenuto ha avuto l’occasione di votare ed ha fatto una scelta precisa, ora non si deve lamentare. Vero, ma non dovrebbe funzionare così in democrazia. Una cosa è il consenso, una cosa sono i numeri, altro è la rappresentatività e la partecipazione. Ed in questo si comincia a prendere in considerazione le tematiche delle campagne elettorali appena chiuse e soprattutto le questioni importanti presenti nel paese.

Non pochi osservatori e commentatori hanno sottolineato il fatto che si sono cercati temi maggiormente “cash and carry”, come il pericolo degli anarchici, le polemiche su Sanremo, i clandestini alle porte (che si vendono sempre bene) e tutto il contorno decisamente defaticante e lontano dalla realtà che viene ogni sera presentato in tanti (tutti?) talk show politici di vario ordine e grado.

Va da sé che, a tale proposito, le grandi tematiche della salute collettiva e della fragilità sociale sono continuati ad essere assenti dal dibattito pubblico, dalla reale partecipazione democratica delle persone, dalla chiara manifestazione di interesse verso i bisogni dei più fragili.

In tema di sanità due sono le liste della spesa scomparse dall’agenda politica

Una riguardante direttamente il sistema: personale mancante, privatizzazione dilagante dei servizi, liste d’attesa non più sostenibili e progressivo peggioramento delle condizioni di salute degli italiani.

L’altra questione, indiretta, riguarda tutti quei determinanti della salute e della malattia, più volte ricordati in queste pagine, quali: politiche di sostegno al reddito, all’abitazione, istruzione pubblica e trasporti pubblici. Ed ancora politiche del lavoro e a favore dei salari bassi e delle pensioni. E molto altro, s’intende.

La pandemia ha dimostrato che nella regione maggiormente organizzata e ricca di Italia, dove molte sono le eccellenze sanitarie, maggiori sono stati i problemi. Una rivelazione che avrebbe dovuto indurre ad una riflessione politica a tutto tondo. Spingere per una inversione di rotta rispetto alla destrutturazione del welfare. Fermare la voglia di dare il via libera alle assicurazioni sanitarie private con tutto quello che ne conseguirà.

Niente di tutto questo. Le regionali ci consegnano la realtà di un esecutivo forte e chiacchierone e di un’opposizione debole e chiacchierona. Entrambe, per colmo di quadro socio-economico, decisamente inesistenti, utili unicamente a piegarsi rispetto alle esigenze del mercato che chiede spazi, commesse, profitti, merci in beni e servizi su cui speculare il più possibile.

La bassa affluenza alle urne, se non è un vero e proprio atto di protesta, è certo la chiara manifestazione della stanchezza di un elettorato che non ci crede più. Che pensa che tanto possono fare a meno di lui, che tanto non considerano in alcun modo ciò che pensa, vuole, o ciò di cui ha bisogno.

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