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Editoriale

Un posto al sole negato agli infermieri

di Giordano Cotichelli

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Un posto al sole” è la soap opera italiana più conosciuta e che va in onda da più tempo. La prima puntata è del 1996 e al 12 dicembre scorso si è arrivati al 6.337esimo episodio. Prodotta da Rai 3 è ambientata a Napoli e riesce a coniugare la professionalità degli attori, di un cast pluridecennale, e di tutti coloro che ne permettono la realizzazione, sul piano tecnico con delle storie che si protraggono nel tempo, si intrecciano, nascono e finiscono nel solco delle migliori delle tradizioni televisive. Di più non si può pretendere da una trasmissione che è di puro svago. Anche se qualche caduta di stile, ogni tanto, può capitare. Tutto sta a vedere in che termini e per quali ragioni, ma soprattutto con quali conseguenze. È il caso della puntata del 12 dicembre scorso. Proprio all’inizio di questa si assiste ad un dialogo fra Michele Graziani e la figlia Silvia; il primo è un giornalista e l’altra un medico fresco di laurea.

Quando una soap alimenta la cattiva percezione del Sistema sanitario

I due chiacchierano in relazione ad un intervento dell’ambulanza in soccorso di Don Raimondo, salvato in extremis dalla presenza di Ornella Prati Bruni, dottoressa e personaggio storico della serie, che ha intubato in tempo il malcapitato sopperendo all’assenza di un medico sul mezzo di soccorso.

Quanto riportato si commenta in larga parte da sé, ma qualche piccola annotazione merita di essere fatta. I due chiacchierano in tema di tipologia del personale a bordo dei mezzi di soccorso, di funzionamento dei sistemi di allerta, di ritardi e disfunzioni varie del Sistema sanitario nazionale.

Il tutto nell’arco di una manciata di secondi i quali hanno però il pregio, al di là del costrutto della sceneggiatura, di alimentare la cattiva conoscenza e percezione del sistema sanitario nazionale, letto in termini di interventi riusciti o meno, veicolando così ancora una volta una superficialità di giudizio sul welfare nostrano che, fino ad oggi, fra scandalismi di malasanità e parassiti della povertà, hanno creato ed instupidito, oltre misura, una larga fetta della collettività della nazione italica, cieca nel vedere il progressivo impoverimento operato in quest’ultimo trentennio, ma pronta a sbraitare nel momento in cui le pustole del corpo in putrefazione dello stato sociale italiano disturbano con il loro cattivo odore, qualche italiota di turno.

Retorica a parte, veniamo al dialogo dei due personaggi in questione. Lo scambio di battute fra gli attori passa sopra a quello che è l’organizzazione della rete di emergenza, capillare e funzionante in tutta Italia.

Fa carta straccia di delibere regionali e leggi nazionali, senza curarsi neanche del mondo dell’associazionismo dei mezzi di soccorso che, fra dipendenti retribuiti e tantissimi volontari, garantisce sul territorio una copertura dei bisogni di salute legati all’emergenza sanitaria o valutati come urgenti o molto spesso correlati alla quotidianità di permettere lo spostamento verso le strutture sanitarie di persone non in grado di farlo per motivi di salute.

Tutto questo in pochi secondi e qualche battuta? Intendiamoci. La puntata della soap in questione è stata registrata tempo fa, ma con il suo dialogo sanitario, che arriva a dire che ci sono stati dei tagli, viene trasmessa – il caso vuole - nelle giornate in cui in Lombardia la Giunta regionale dice stop a medici ed infermieri gettonisti, l’esecutivo nazionale continua a pasticciare con le pensioni dei sanitari, mentre la Ministra del turismo corre dietro alle case popolari per gli infermieri, e i dati Ocse confermano l’emergenza numerica di infermieri in Italia in cui il rapporto con la popolazione è fra i più bassi d’Europa: 6 per 1.000 abitanti.

In un quadro in cui tutto questo non è più sopportabile dagli stessi infermieri che vedono il numero dei “contagiati” da burnout fra i più alti di sempre: sei su dieci, stando ai dati della Fnopi.

Di tutto questo, ovviamente, non ha certo colpa una soap opera. E non le si può chiedere neanche di farsi strumento di denuncia politica, controinformazione sindacale e rivendicazione professionale

Per carità, ma è vero ad ogni modo che la pochezza delle argomentazioni sanitarie usate dagli sceneggiatori è il segno tangibile della pochezza di questo paese, figlia e prodotto, degenerazione e cancro metastatizzato, o cancrena gassosa di quella che era una nazione felice e che una intera classe politica ha saccheggiato in questi decenni e continua a farlo.

E qui ritorna la soap opera che riesce a parlare di questi anni in maniera egregia, dando vita a storie e personaggi totalmente decontestualizzati, eterni nel loro limbo da favola (o meglio da favela), in grado di vivere e rivivere mille vite in un tempo sempre uguale: che sia oggi, trenta o trecento anni fa. O fra tremila anni.

Sì, sì, certo si sta pur sempre parlando di una soap, ma questa rappresenta, lo si ripete per la seconda volta, un paese e la sua mitologia posticcia cui non crede più nessuno. Una soap è un mondo finto dentro una palla di vetro. La prendi, la scuoti e vedi la neve scendere giù, rendere tutto bello e magico.

Ricominci e ripeti tante volte finché ti stanchi e non hai più la forza neanche di rimanere deluso dalla finzione di un oggetto sempre più inutile che non resta che riporlo in un angolo della credenza, e dimenticarne la sua stessa esistenza, le sue illusioni ed i suoi personaggi posticci, non quelli di un posto al sole, ma tutti coloro che hanno depredato, e continuano a farlo, questo paese che i paramedici di ogni settore lavorativo e continuano a mandare avanti.

A proposito, sia consentita un’ultima battuta sui paramedici. Il termine non è mai stato utilizzato nel linguaggio comune e, dopo qualche tentativo malriuscito, neanche a livello istituzionale è entrato nella prosa di governo. Troppo falso e derivato dall’uso statunitense in un contesto sanitario molto diverso dal nostro. O almeno lo è stato per molto tempo.

Oggi sembra più vicino che mai a fronte di una sanità pubblica molto sofferente e di un mercato della salute che avanza sempre più. Forse potrebbe essere d’aiuto magari il personaggio rampante del giornalista Michele Graziani che, invece di far domande all’imbarazzatissima figlia medico, potrebbe andare dal Ministro della Sanità, da uno dei tanti governatori di regione, dai signori del profitto sanitario o da chi meglio preferisce. Nella finzione certamente della rappresentazione televisivo. O, se vuole, anche nella realtà.

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Commenti (1)

Nonnapapera66

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1 commenti

Gli autisti soccorritori 118 cosa sono?

#1

Vogliamo parlare anche degli autisti soccorritori dipendenti della Croce Rossa che adesso privata che non si sa cosa sono e soprattutto non sono comunque sanitari anche se hanno corsi su corsi per salire su una medicalizzata 118!!